La responsabilità per omicidio colposo degli enti: è corretto applicare il decreto legislativo n. 231/2001

Il Giudice per le Indagini Preliminari di Milano si è pronunciato su un’eccezione di illegittimità costituzionale degli articoli 5 e 25-septies Decreto Legislativo n. 231 del 2001 per presunta violazione dell’articolo  24 commi 1 e 2 della Costituzione. Il Giudice di Milano infatti ha ritenuto manifestamente infondata la questione, non rinviando quindi gli atti alla Consulta per la verifica della presunta illegittimità costituzionale asserito dagli istanti.

La questione era stata sollevata da una società milanese in seguito alla morte di un operaio travolto sui binari della metropolitana mentre era al lavoro. Nella fattispecie il Giudice, Dott. Andrea Antonio Salemme, respingeva, con l’ordinanza dell’otto marzo 2012, l’eccezione di illegittimità costituzionale degli articoli 5 e 25 septies del Dlgs. n.  231/2001, che regolamentano rispettivamente: la responsabilità dell’ente per i reati commessi nel suo interesse e l’omicidio colposo e le lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Nel merito il Giudice di Milano ha chiarito le sue motivazioni, sulla scia dei vari interventi che la Corte Costituzionale ha affrontato in relazione a detto argomento ribadendo il concetto che la responsabilità dettata dai seguenti articoli, non è responsabilità avente un fondamento penale, ma amministrativo. In particolare il Giudice milanese ha chiarito che le fattispecie colpose di omicidio e lesioni personali conseguenti a violazioni di norme antinfortunistiche sono perfettamente compatibili con la struttura della responsabilità degli enti prevista dal suddetto decreto legislativo, formando una responsabilità che risulta essere un mix tra quella penale e quella amministrativa.

La responsabilità in esame infatti, secondo l’ordinanza pronunciata a marzo del corrente anno, scaturirebbe dal mancato rispetto delle previsioni dettate in materia di sicurezza sul lavoro, quando questo sia motivato dalla consapevolezza del datore di lavoro di non voler ottemperare alle regole all’uopo previste per svariate ragioni quali ad esempio:

  1. La necessità di contenere i costi produttivi, o di risparmiare sulle spese relative alle misure di sicurezza, o accelerare i tempi o i ritmi di lavoro, o aumentare la produttività,
  2. O, ancora più semplicemente, aderire ad una certa politica aziendale, fatta di omissioni di investimenti in punto di sicurezza nell’ambito, di rami produttivi destinati all’abbandono.

Insomma secondo il GIP di Milano tale normativa impone, trattandosi si attività nelle quali sono presenti rischi elevati, tre tipi di responsabilità per l’imprenditore: una responsabilità iniziale di programmazione e pianificazione delle norme interne che vadano a regolamentare tutte le modalità, una seconda e successiva responsabilità gestionale, per rapportare le normative interne e quelle generali all’impianto specifico interno, e una responsabilità ancora successiva che è quella di controllo e vigilanza sull’applicazione di dette norme.

Autore: Luciano Mottola

Pubblicato in Sicurezza sul lavoro.

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