La locuzione latina “culpa in vigilando” (letteralmente “colpa nella vigilanza”) viene utilizzata nel caso in cui la responsabilità per un fatto (generalmente illecito) viene attribuita ai soggetti tenuti alla sorveglianza di determinate persone ritenute non pienamente in grado di rendersi conto delle proprie azioni, per vari motivi.
Il campo di applicazione di quanto indicato è piuttosto vario; senz’altro l’ambito scolastico/infantile esemplifica facilmente quanto definito (la colpa dell’infortunio subìto dal bambino giocando a scuola è attribuibile all’insegnante che non ha “vigilato” in maniera appropriata) ma il concetto trova ampio riscontro anche nell’ambito della sicurezza sul lavoro, rappresentando uno dei capisaldi della filosofia normativa.
Stabilito che il Datore di Lavoro ha l’obbligo di scegliere i soggetti idonei per lo svolgimento delle attività (in caso contrario potrebbe essere chiamato in causa per “culpa in eligendo”), questi, se hanno il compito di gestire degli uomini (ad esempio il caporeparto in azienda, il caposquadra in cantiere) devono essere messi nelle condizioni di poter “vigilare” su di essi, in maniera tale da verificare che gli stessi non trasgrediscano le regole stabilite a livello preventivo per limitare i rischi di incidenti.
Uno degli esempi più pratici legati a questo tema è rappresentato dalla vigilanza sui lavoratori circa il corretto uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
Spesso il Datore di Lavoro è convinto che le sue responsabilità si esauriscono con la fornitura del DPI al lavoratore, con tanto di formalizzazione attraverso la compilazione di moduli più o meno complessi attestanti l’avvenuta consegna degli stessi. In realtà questo è solo uno degli obblighi previsti dalla normativa, perché oltre a quanto indicato, il Datore di Lavoro (o il dirigente, o il preposto, se previsti dall’organigramma della sicurezza aziendale) deve appunto “vigilare” sul fatto che gli addetti eseguano effettivamente le istruzioni loro impartite (in questo caso, il corretto uso dei DPI).
Causa di dibattito è a questo punto il significato della parola “vigilare”. La giurisprudenza costante ritiene ormai assodato il concetto ben sintetizzato dalla seguente sentenza che chiarisce, ad esempio nei confronti del preposto, il significato di “vigilanza”.
Il compito del preposto non è quello di sorvegliare «a vista» ed «ininterrottamente da vicino» il lavoratore, bensì quello di assicurarsi personalmente che questi esegua le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzi gli strumenti di protezione prescritti. Ciò il preposto può farlo anche allontanandosi dal luogo in cui si trova il lavoratore, dedicandosi ad altri compiti di sorveglianza e di lavoro, purché si assicuri in modo efficace, personalmente e senza intermediazione di altri dell’osservanza degli ordini impartiti.
(Cass. pen., sez. IV, 12 Gennaio 1988, n.108).
Autore: Michele Piscino
Fonte: D.Lgs. 81/08, sentenza della Corte di Cassazione