Cassazione: confermata la sentenza di primo grado del datore per omissioni ex D.P.R. 164/56 E 547/55

Come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 7 gennaio 1956, articoli 10, 33 e 35, articolo 77, lettera b) e dal Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 271, 381 e 389 – il soggetto che, nella  qualità di rappresentante legale di un’azienda, ometta di approntare le misure di sicurezza necessarie per evitare cadute nel vuoto degli operai e che non eviti  il pericolo di danni all’integrità fisica degli stessi in relazione all’esecuzione dei lavori inerenti all’uso di seghe elettriche ed in relazione all’eventuale caduta dall’alto di materiale pericoloso è punito come segue:

a)      con l’arresto da tre mesi a sei mesi o con l’ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni per
l’inosservanza delle norme di cui agli articoli 12, 15, 17, 24 primo comma, 27 primo comma, 29 quarto
comma, 41, 49 secondo comma, 56 primo comma, 57 primo e secondo comma, 67 primo e secondo
comma ;

b)      con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni per
l’inosservanza delle norme di cui agli articoli 4 sesto comma, 10, 11, 13, 20 primo, secondo e terzo
comma, 23 primo e secondo comma, 25, 26, 28 primo comma, 35, 36, 40, 42, 43, 44, 49 primo comma, 55, 56 secondo, terzo e quarto comma, 57 terzo comma, 58, 59, 60 quarto comma, 62 secondo comma,70, 72 primo comma, 73 primo comma, 75 ;

c)      con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni per la
inosservanza di tutte le altre norme .

In relazione a tali disposizioni il Tribunale di Vasto condannava nel 2007 un datore di lavoro di una S.R.L. che non aveva rispettato tali obblighi, sottoponendo a gravi rischi i propri dipendenti.

Successivamente lo stesso proponeva ricorso in Cassazione, la cui sezione penale il 3 maggio del corrente anno con la sentenza n. 16377/2012 respingeva il ricorso adducendo come motivazione del rigetto l’inammissibilità dello stesso, in quanto le censure presentate dal ricorrente risultavano agli occhi della Corte generiche ed infondate, condannando alle spese lo stesso oltre un ammenda di 1.000 euro.

Autore: Luciano Mottola

 

 

 

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